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INCREDIBILE: sapete quanto costerebbe la benzina senza le tasse..


La benzina? Senza le tasse oggi costerebbe 44 centesimi al litro.

Il prezzo del petrolio crolla ma le accise sono arrivate a pesare per quasi il 70%. E il costo del carburante in Italia diventa così il più alto d'Europa.

Quarantaquattro centesimi al litro. E' quanto potrebbe costare oggi la benzina se non esistessero le accise, il tributo indiretto applicato dallo Stato. Venerdì il costo del petrolio è sceso a circa 30 euro al barile, in calo del 67,4% rispetto al 2012. Eppure il pieno ci costa solo il 28,1% in meno. "Colpa" proprio delle accise, aumentate vertiginosamente nel corso degli ultimi anni. E la benzina, in Italia, costa più che in tutto il resto d'Europa.

E' quanto emerge dall'inchiesta di Sergio Rizzo, pubblicata sul Corriere della Sera, secondo cui rispetto al 2008 le accise sono aumentate del 46%.

"Pagheremmo un euro anche se fosse gratis" - A rincarare la dose ci pensa Faib Confesercenti: "Per assurdo anche se i Paesi produttori ci regalassero la materia prima, un litro di verde costerebbe comunque agli italiani 1,083 euro, un litro di gasolio 0,965 euro". Dello stesso avviso il Codacons, che sottolinea come, a causa del peso del Fisco, "l'Italia resta saldamente ai vertici della classifica dei paesi europei dove i carburanti costano di più".

Matteo Renzi e il suo ministro Federica Guidi tentano la strada della moral suasion invitando i petrolieri a tagliare proporzionalmente il costo della benzina. Ma questi rispondono: "Da giugno 2015 a oggi il prezzo della benzina è diminuito complessivamente di oltre 21 centesimi, mentre quello del gasolio di circa 28 centesimi, riflettendo appieno la discesa del greggio e dei prodotti raffinati sui mercati internazionali".

Insomma, l'Unione petrolifera respinge le accuse. La "colpa", semmai, è dello Stato, come denunciano Federconsumatori e Adusbef: "Sul prezzo finale della benzina tasse e accise pesano per il 70%. Si tratta di un livello intollerabile. Il governo dovrebbe intervenire affinché le accise siano ritoccate al ribasso immediatamente di almeno 5 cent al litro in una prima fase, per poi intervenire in termini strutturali con ulteriori riduzioni di almeno 10 cent al fine di riportare la tassazione nelle medie europee".

Pensate, le accise sono oltre il 70% e la prima fù introdotta da Mussolini nel lontano 1935 - 1,90 lire al litro sulla benzina per finanziare la guerra di conquista dell’Abissinia. Poi nel corso degli anni ogni Governo ha deciso di imporre “balzelli” per ogni emergenza: dalla crisi di Suez (1956), al disastro del Vajont (1963), fino alle guerre in Libano e Bosnia.

L’ELENCO DELLE ACCISE DAL 1935 AD OGGI:
Guerra in Abissinia del 1935 (1,90 lire)

La crisi di Suez del 1956 (14 lire)

Il disastro del Vajont del 1963 (10 lire)

Alluvione di Firenze del 1966 (10 lire)

Terremoto del Belice del 1968 (10 lire)

Terremoto del Friuli del 1976 (99 lire)

Terremoto in Irpinia del 1980 (75 lire)

Missione in Libano del 1983 (205 lire)

Missione in Bosnia del 1996 (22 lire)

Rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 (0,020 euro, ossia 39 lire)

Decreto Legge 34/11 per il finanziamento della manutenzione e la conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali (0,0073 Euro)

0,040 Euro per far fronte all'emergenza immigrati dovuta alla crisi libica del 2011, ai sensi della Legge 225/92

0,0089 per far fronte all'alluvione in Liguria ed in Toscana del novembre 2011

0,112 Euro sul diesel e 0,082 Euro per la benzina in seguito al Decreto Legge 6 dicembre 2011 n. 201 «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» del governo Monti.

0,02 euro: terremoti dell’Emilia del 2012;

MA non finisce qui: perché come spesso accade in Italia – abbiamo una tassa sulla tassa. Su questi 25 centesimi di euro infatti, sommati alla vera e propria imposta di fabbricazione (definita per decreti ministeriali), viene aggiunta pure l’Iva del 22%.

Ma quanto guadagna lo Stato?: i conti sono facili, ogni centesimo di aumento sul carburante comporta un maggiore introito di circa 20 milioni di euro al mese per le casse dello Stato. Secondo i dati dell’Unione petrolifera nel 2007, le entrate fiscali alimentate dai prodotti petroliferi sono state superiori ai 35 miliardi (24,7 derivanti dalle accise e 10,5 dall’Iva).

Avete in casa monete da 10, 50 o 100 lire? Attenti possono valere..


Anche oltre 2000 euro.
Quanto valgono le vecchie lire? Le care monetine sono ormai un ricordo e per alcuni delle perfette sconosciute, ma chi le avesse volute conservare per ricordo potrebbe possedere oggi una piccola fortuna. Si tratta di monete rimaste intatte dal passare del tempo e senza graffi.

Le 100 lire coniate dell'anno 1955 e le 50 lire dell'anno 1958 sono una vera rarità. Le prime non sono particolarmente rare (ne furono tirate circa 8,6 milioni). Tuttavia gli esemplari appunto “in fior di conio” possono veder schizzare il prezzo fino a 1.200 euro, mentre le 50 lire un poco più rare possono valere fino a 2000 euro.


Ci sono poi le 10 lire dell'anno 1954, coniate in oltre 95 milioni di esemplari, valgono 70 euro ognuna al massimo. Le 5 lire del 1956 sono, invece, più rare: ne furono messi in circolazione 400mila esemplari e possono valere un minimo di 50 e un massimo di 1.500 euro. Se le avete (devono essere perfette, fior di conio) recatevi da un numismatico della vostra zona.

Arriva la nuova indennità di disoccupazione, ecco come funzionerà...


La nuova indennità di disoccupazione entrerà dal 1 maggio 2015 e si chiamerà Naspi. Ecco la guida completa con destinatari, requisiti, durata, modalità di calcolo e cause di decadenza.

E’ ufficiale: con il Jobs Act l’Aspi diventa Naspi, la Nuova prestazione di Assicurazione sociale dell’impiego, l’indennità mensile di disoccupazione, che a decorrere dal 1 maggio 2015 sarà istituita presso la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, a sostegno del reddito dei lavoratori con rapporto di lavoro subordinato, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.

Naspi: destinatari e requisiti
I destinatari della Naspi saranno i lavoratori dipendenti, con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni e gli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato.

Chi ha diritto alla Naspi?
I lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa, o nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, e quelli che abbiano perduto involontariamente il proprio lavoro e che presentino, congiuntamente, i seguenti requisiti:

- siano in stato di disoccupazione;
- possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione;
- possano far valere diciotto giornate di lavoro effettivo o equivalenti, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

Come si calcola la Naspi?                                                                                  La Naspi è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni utili, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33:

- se nel 2015 la retribuzione mensile sia pari o inferiore a 1.195 euro, importo rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente, la Naspi è pari al 75% della retribuzione;
- se la retribuzione è superiore a 1.195 euro mensili, la Naspi sarà pari al 75% + il 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo.

Ad ogni modo, la Naspi non può superare l’importo massimo di 1.300 euro mensili nel 2015 (importo rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente).

Quanto dura Naspi?
                                                                                    Naspi viene erogata mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini della durata, non sono considerati i periodi contributivi che hanno già garantito l’erogazione delle prestazioni di disoccupazione.

L’indennità viene ridotta progressivamente nella misura del 3% al mese dal primo giorno del quinto mese di fruizione:

- per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1 gennaio 2016, questa riduzione si applica dal primo giorno del quarto mese di fruizione;
- per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1 gennaio 2017, la durata di Naspi è limitata a un massimo di 78 settimane.

Come si presenta la domanda?
Coloro che sono in possesso dei requisiti suddetti possono inviare la domanda all’INPS in via telematica, entro il termine di decadenza pari a 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

La Naspi sarà erogata a partire dal giorno successivo alla data di presentazione della domanda e, comunque, non prima dell’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.

Quando decade Naspi?                                                                                    A pena di decadenza, la Naspi è condizionata: - alla permanenza dello stato di disoccupazione;
- alla partecipazione costante e regolare alle iniziative di attivazione lavorativa, nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti.

La Naspi inoltre decade nei casi seguenti:
- perdita dello stato di disoccupazione;
- inizio di un’attività lavorativa subordinata senza provvedere alla comunicazione all’INPS;
- inizio di un’attività lavorativa in forma autonoma senza provvedere alla comunicazione all’INPS;
- raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato;
- acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, sempre che il lavoratore non opti per la Naspi.

Compatibilità con lavoro subordinato e/o autonomo.
Cosa succede al lavoratore in corso di fruizione della Naspi che instauri un rapporto di lavoro subordinato o intraprenda un’attività lavorativa autonoma?
- nel caso di lavoro subordinato: se il reddito annuale è superiore al reddito minimo escluso da imposizione la prestazione decade, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi, caso in cui la prestazione è sospesa d’ufficio per la durata del rapporto di lavoro e fino a un massimo di sei mesi. Se il reddito è inferiore, la prestazione resta in vigore, a condizione che il lavoratore comunichi all’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività il reddito annuo previsto;
- nel caso di lavoro autonomo: se il reddito che ne deriva è inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne. La Naspi sarà ridotta all’80% del reddito previsto, rapportato al periodo di tempo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno.

A Natale regali per 7 miliardi, (270 milioni in più dell'anno scorso) ma sotto l'albero gli italiani...


sognano il lavoro.

Il monte tredicesime a 42 miliardi: 22 andranno in consumi, 7,4 in risparmi, gli altri in tasse e arretrati. Nei desideri per le feste vincono lotta alla disoccupazione e meno imposte.

Lavoro e meno tasse. Le letterine per Babbo Natale sono già pronte nella testa degli italiani che hanno chiaro in testa cosa desiderano sotto l'albero per quest'anno. D'altra parte secondo un sondaggio Confesercenti nel 2014 la situazione è peggiorata, almeno per la maggioranza degli intervistati (il 54%) che - tuttavia - non perde la speranza. E così la spesa per i regali è destinata ad aumentare di 270 milioni a 7 miliardi di euro. Merito anche del lieve incremento delle tredicesimi che quest'anno ammonteranno a 42 miliardi (in media 8 euro in più a lavoratore) alimentando, nel complesso, spese in consumi per 22 miliardi. Molto, però, andrà in imposte (a dicembre sono in arrivo 11 miliardi di scadenze tra Imu, Tasi e addizionali) e arretrati, solo 7,4 miliardi saranno destinati al risparmio.

Il 35% degli italiani, comunque, vorrebbe per Natale meno disoccupazione, il 30% un minor peso fiscale, mentre il 24% chiede una riduzione dei privilegi e degli abusi. Insomma il clima di incertezza resta alto per per questo 6 su 10 ridurranno le spese per le feste. C'è qualcuno però (il 6%) che intende aumentare il proprio budget facendo leva proprio sul calo dell'inflazione.

Se la lenta dinamica dei prezzi insieme agli aumenti contrattuali - prosegue il sondaggio Confesercenti-Swg  hanno portato a un leggero aumento del monte totale delle tredicesime, la crisi ha ridotto i percettori: il 25% dichiara di non avere nel proprio nucleo familiare nessuno che benefici della tredicesima, contro il 22% dello scorso anno. Nonostante tutto, però, le famiglie italiane non rinunceranno alla tradizione del Natale ed ai regali da scartare: quest'anno, sotto gli alberi addobbati da luci e decorazioni, verranno scartati doni per 7 miliardi di euro, con una leggera crescita della spesa di 270 milioni rispetto al 2013. Sette su dieci ammettono che per quest'anno sceglieranno regali "low cost" per festeggiare, mentre per i più piccoli il 43% sceglie regali utili. (fonte: la Repubblica)

Bankitalia: "Con le norme sul Tfr saranno a rischio le pensioni"


Roma 4 novembre: Legge di Stabilità - Le riserve di Bankitalia sul Tfr in busta: "saranno a rischio le pensioni." Bankitalia, invece, promuove la legge di Stabilità anche se auspica "la temporaneita' del provvedimento" sul Tfr. In un'audizione alle commissioni Bilancio della Camera e del Senato il vice direttore generale Luigi Federico Signorini ieri ha spiegato che "lo smobilizzo del Tfr maturando inciderebbe negativamente sulla capacita' della previdenza complementare di integrare il sistema pensionistico pubblico, che in prospettiva presenta bassi tassi di sostituzione, soprattutto per i giovani, mediamente piu' soggetti a vincoli di liquidita'. L'adesione dei lavoratori a basso reddito all'iniziativa aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate". Poi le perplessità della Corte dei Conti. In audizione alle commissioni riunite Bilancio alla Camera il presidente Raffaele Squitieri ha detto che ci protrebbero essere dei rischi per la legge di stabilità dalle clausole di salvaguardia. Queste, secondo Squitieri, provocano "l'acuirsi di incertezze sul gettito futuro". Sono state espresse perplessità anche sull'utilizzo delle risorse in arrivo dalla lotta all'evasione fiscale, per "un uso improprio dei proventi (per loro natura incerti) per coprire spese o sgravi fiscali certi". Per il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, "questa Legge di stabilità segna un'importante discontinuità rispetto al passato". La manovra mette "in secondo piano la riduzione del deficit per dare priorità al sostegno all'economia - afferma - rallentando il percorso di rientro e rinviando il raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio dal 2016 al 2017".

L'Istat mette in guardia il governo: "Effetto nullo della manovra per il 2015-2016"..


L'Istituto di Statistica taglia le stime di crescita dell'Italia: +0,5% nel 2015 contro l'atteso +0,6% dell'esecutivo. Confermata la recessione nel 2014: l'anno si chiuderà con un calo dello 0,3%. Crescono i consumi con il calo della propensione al risparmio.

MILANO - L'Istat taglia le stime di crescita dell'economia italiana e mette in guardia il governo dopo il varo della manovra che dovrebbe stimolare la crescita del Paese. I tecnici dell'Istat stimano, infatti, un "effetto nullo della manovra nel biennio 2015-2016" per effetto combinato "dell'impatto positivo del bonus degli 80 euro sulla crescita dei consumi" e dell'"effetto negativo dovuto alla clausola di salvaguardia sull'aumento automatico dell'iva nel 2016", nel caso in cui scattasse. Intanto, per quest'anno, la spesa delle famiglie, per la prima volta dopo tre anni, tornano a crescere con un aumento dello 0,3%. L'inversione di rotta, però, dipende dalla riduzione della propensione al risparmio.

Pil.
Nel dettaglio l'Istituto di Statistica prevede un calo del Pil dello 0,3% nel 2014, in linea con le stime del Governo, contenute nel Def. Per il 2015 l'Istituto indica un ritorno alla crescita, con un aumento dello 0,5% (+0,6% nel Def), a cui seguirebbe un rialzo dell'1% nel 2016, come stimato dall'esecutivo. Rispetto alle sue precedenti stime l'Istat rivede al ribasso il Pil di quest'anno di 0,9 punti.

Domanda.
Nel 2014 - spiega l'Istat - la domanda interna al netto delle scorte contribuirà negativamente alla crescita del Pil per 0,3 punti percentuali, mentre la domanda estera netta registrerà una variazione positiva pari a 0,1 punti percentuali. Dinamica inversa per l'anno prossimo quando la domanda interna avrà un impatto positivo di 0,5 punti percentuali, mentre il contributo della domanda estera netta risulterà contenuto (+0,1 punti percentuali). Un trend che dovrebbe confermarsi anche nel 2016.

Investimenti.
Gli investimenti subiranno una ulteriore contrazione nell'anno in corso (-2,3%) nonostante un lieve miglioramento delle condizioni di accesso al credito e del costo del capitale. Il processo di accumulazione del capitale è previsto riprendere gradualmente nel 2015 (+1,3%) e con maggior intensità nel 2016 (+1,9%), in linea con il rafforzamento della domanda.

Lavoro.
Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,5% nel 2014 per effetto della caduta dell'occupazione (-0,2% in termini di unità di lavoro), nonostante i timidi segnali di ripresa di settembre. La stabilizzazione delle condizioni del mercato del lavoro attesa per i prossimi mesi avrà riflessi sul 2015, quando il tasso di disoccupazione diminuirà lievemente al 12,4% e le unità di lavoro registreranno un contenuto aumento (+0,2%). Il miglioramento del mercato del lavoro proseguirà con più vigore nel 2016 con una discesa del tasso di disoccupazione al 12,1% e una crescita delle unità di lavoro dello 0,7%: secondo il premier, Matteo Renzi, non si scenderà sotto il 10% fino al 2019.

Le previsioni.
Nelle sue stime l'Istat sottolinea l'elevato grado di incertezza dovuto soprattutto alle dinamiche internazionali: a cominciare dal tasso di cambio tra euro e dollaro. Più la moneta unica si deprezzerà nei confronti del biglietto verde, più il Paese accelererà. Altrimenti non sono escluse revisioni al ribasso, come già accaduto nel corso di quest'anno.

Tango bond, l’Argentina non pagherà la rata del debito di..


fine giugno. Buenos Aires gela le speranze dei creditori e torna ad agitare lo spettro di una nuova bancarotta. Il ministero dell’Economia ha infatti avvertito che il 30 giugno il Paese non sarà in grado di pagare quanto dovuto ai possessori di bond che hanno accettato il concambio, cioè la ristrutturazione del debito dopo il default del 2001-2002. Tutto nasce dalla sentenza della Corte suprema Usa che ha imposto alla Casa Rosada di rimborsare 1,33 miliardi di dollari ai fondi speculativi titolari di bond e non firmatari degli accordi sul concambio. L’Argentina, hanno stabilito le toghe Usa, non potrà pagare le cedole sui titoli ristrutturati a meno che non paghi simultaneamente anche la totalità di quanto richiesto dagli hedge fund. Cosa che, secondo il governo, comporterebbe un esborso complessivo di 15 miliardi di dollari.

Dopo la dura reazione a caldo della presidenta Cristina Kirchner, mercoledì gli avvocati del governo avevano aperto alla possibilità di una trattativa con gli hedge fund. Ma a poche ore di distanza, giovedì mattina, è arrivata una nuova doccia gelata sotto forma di una nota del ministero da Alex Kicillof. Secondo la quale il governo non rispetterà la scadenza di fine mese nei confronti degli investitori che hanno in portafoglio bond con scadenza 2033 denominati in dollari, euro e yen. (Non sarà pagata la cedola di interesse per coloro che hanno accettato l'ultima offerta argentina del 2010).

Gli analisti di JpMorgan gettano acqua sul fuoco, scrivendo in un report sul Paese che la minaccia di default potrebbe essere una mera tattica negoziale. Messa in campo con l’obiettivo di ritardare il rispetto della sentenza o mettere i fondi hedge che non hanno accettato il concambio in una posizione più debole. Ma la situazione rimane incandescente. Tanto più che l’hedge fund Elliott Management, uno dei creditori “dissidenti”, ha appena chiesto alla giustizia americana di rendere esecutivo l’ordine della Corte permettendogli di rifarsi sulle proprietà che l’Argentina detiene in territorio Usa. In particolare la sua controllata Nml, attraverso la quale era stato intentato il ricorso contro Buenos Aires, punta a ottenere informazioni dalle aziende energetiche americane che hanno legami commerciali con la Yacimientos Petrolíferos Fiscales, compagnia statale del petrolio e del gas.

Intanto alzano la voce anche i 50mila italiani possessori di bond argentini che sono impegnati in questi giorni nella fase finale di un arbitrato davanti al tribunale della Banca Mondiale. La Task Force Argentina (Tfa), costituita nel 2002 da otto banche italiane per rappresentare i creditori nelle sedi di negoziazione, ha chiesto al Paese di avviare trattative e cercare un accordo con tutti i creditori, inclusi gli italiani. “L’Argentina è ora chiamata a far fronte alle sue responsabilità. Se non lo facesse si troverebbe a far fronte a un default tecnico e a difficoltà nell’accedere al mercato dei capitali”, si legge nel comunicato della Tfa. Secondo il quale, comunque, la decisione della Corte Suprema americana lascia inalterati i diritti dei titolari di bond italiani.

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