Strategie per uscire sane e salve dalla "festa della donna" (Satira.. ma non troppo)


Diceva una vignetta geniale di qualche anno fa sulla festa della donna. C’era una mamma sui 40 che spingeva un passeggino. Tipo me: trafelata, agitata, stremata. L’ultimo dei suoi problemi era festeggiare l’8 marzo.

Io pure non ho nessuna voglia di celebrare la Giornata internazionale della Donna. Perché, in quanto essere di sesso femminile, non mi pare che ci sia bisogno di sentirsi come i panda in estinzione. Ma al di là di capziosi ragionamenti femminil-femministi(ci), proprio non mi piace tutto il “merchandising” che c’è dietro.

Dal quale intendo uscire sana e salva. Con 5 semplici mosse.

1# Evito il giallo
Il giallo sbatte sul mio viso pallido. Non lo indosso mai. E le mimose mi fanno allergia. Comincio a starnutire, mi vengono i pomfi rossi sulle mani. L’8 marzo dovrei chiudermi in casa e invece faccio lo slalom. Mi offre una mimosa il custode, il venditore ambulante, il barista… Mi chiedo chi si occupi di disboscare le foreste di alberi di mimosa. E soprattutto: dove stanno il resto dell’anno quei pallini gialli? Se riesco a evitare cespugli, rametti, composizioni e bouquet a profusione, la sera dell’8 marzo mi premio. Con un cocktail Mimosa? No: con una tisana, un canarino rilassante.

2# Esco in tuta
Meglio se mimetica, militare, camouflage. Versione soldatino di piombo (con la stessa pesantezza del piombo). Perché se esci con i tacchi staranno tutti lì a sottolineare: «Del resto è la vostra festa, signore». Quindi salto subito un passaggio e sono già lì pronta, col bazooka a portata di mano per sfogare il cattivo umore e incenerire (non solo con lo sguardo) il malcapitato.

3# Stacco il telefono
Altrimenti le altre-mamme-della-scuola-materna di mia figlia, verso le 4 del pomeriggio, mi agganciano per una “pizzata“/”apericena” «tra sole donne». Così, «per festeggiare». Peccato che dalla focaccia piccante allo spogliarello dei California Dream Men il passo sia breve: è un attimo e ti ritrovi con uno smutandato-leopardato-palestrato nel retrobottega della trattoria. L’alternativa è prendere la tuta di cui al punto 2, metterla in valigia, far perdere le proprie tracce e arruolarsi nella legione straniera.

4# Dormo
Mi addormento prima che la mamma, la suocera, il marito, il padre, il fratello, chiunque possa sussurrare: «Perché non ti riposi, ALMENO oggi?». Semel in anno licet insanire, dicevano i latini: una volta l’anno è permesso impazzire, uscire fuori di sé. Ma io non voglio chiedere il permesso a nessuno di essere femmina, secondo le regole e le convenzioni sociali, come un bravo soldatino. Quindi, scusate se è poco, mi appisolo un po’. Giusto in tempo per risvegliarmi a festa della donna finita.

5# Dò fuoco a qualcosa
La festa della donna si celebra l’8 marzo, secondo la versione più accreditata, in memoria delle operaie morte l’8 marzo del 1908 nel rogo di una fabbrica di New York: la Cotton. In realtà si tratta solo di una leggenda nata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un altro incendio ci fu il 25 marzo del 1911: nella fabbrica Triangle, sempre a New York, dove molte lavoratrici immigrate persero la vita. Da lì, anno dopo anno, fino al 1922, quando si istituì davvero la giornata. Incendi, donne che muoiono, streghe al rogo, operaie passate a miglior vita. Tutto è troppo più grande di me, di noi, per ridurlo a una giornata con le amiche. A una giornata con più tempo per sé. O anche a una giornata in piazza a rivendicare, protestare, puntualizzare differenze e somiglianze con l’universo maschile. Io piuttosto l’8 marzo darei fuoco a qualcosa. Prima di tutto ai pregiudizi di genere. E all’idea che una donna, per meritarsi una festa, debba essere sempre perfetta.

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