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A mio figlio.. (Bellissima lettera di un padre al figlio)
Caro figlio,
mi guardo attorno e penso a quando sarai grande: sai, adesso é il tuo papà ad esserlo.
Un giorno leggerai questa lettera e quando lo farai sarai nella condizione di capire quanto ho scritto, anche se la comprensione sarà solo parziale. Questo perché le cose, affinchè possano essere comprese appieno, debbono necessariamente essere vissute in prima persona ed io, proprio in prima persona, ti scrivo in qualità di genitore.
Immagino i tuoi occhi – gli stessi che ho avuto anch'io fino a non molto tempo fa – osservare il mio atteggiamento, visto probabilmente come una fonte di ostruzionismo, presentandoti una persona adulta che si rifiuta di capire chi sei veramente e quali siano le tue necessità. L'ho vissuto.
Ordunque, semmai ciò avrà d'accadere, é bene che tu sappia, attraverso queste parole, chi sono io. Perché nel nostro rapporto é capendo il mio ruolo che riuscirai a capire meglio chi realmente rappresenti tu. Siamo due persone diverse, é vero, che però hanno in comune tanti aspetti, molti più di quanti potrai trovarne in altre persone.
Tu sei il futuro, quello in cui si ripongono le speranze dei tuoi genitori e di tanta altra gente che conoscerai e con la quale dividerai parte del tuo tempo. E le tue azioni si ripercuoteranno, volente o meno, anche oltre oceano, esattamente come gli effetti di un sasso lanciato nello stagno. E avrai da perdomarmi se ti dico che quel futuro lo sto costruendo io, oggi, giorno per giorno.
Ogni persona di questo pianeta assume un ruolo che può essere più o meno determinante per la sua vita e per quella degli altri, compresa quella di chi vive alle spalle altrui. Persone che non necessariamente nascono così, ma rese tali dagli atteggiamenti di chi avrebbe dovuto fare di loro delle persone in grado di saper badare a se stesse; individui che ripongono negli altri le proprie responsabilità perché nessuno gli ha mai mostrato quali fossero e come le si debbono assumere.
Il mio ruolo nei tuoi confronti é particolarmente determinante per la tua formazione personale, quella di cui sarai ancora alla ricerca mentre sarai intento a leggere queste righe.
E' dovere mio quello di illuminarti il percorso: il tuo é quello di scegliere la strada da seguire. La mia prima responsabilità, per quanto ti concerne, é stata anzitutto quella di avere avuto il coraggio di metterti al mondo consapevole fin dal principio che, da questo mondo, avrei dovuto proteggerti. Come individuo non ho potere nei confronti della società, ma intervengo direttamente nel plasmarla attraverso gli insegnamenti e tutta quella immensa mole di informazioni che ti avrò consegnato e che continuerò a trasmetterti.
Il tempo da dedicare solo a me stesso é passato. Il mio tempo ti é appartenuto fin dalla tua nascita ed assieme a questo ti ho fatto dono del mio spazio e di tutta la mia energia. Riconosco, sebbene talvolta a malincuore, che sei mio figlio non una mia proprietà; ma mi sono occupato del tuo corpo e del tuo spirito come fossero i miei. Ed il punto di vista che non ho mai voluto abbandonare, malgrado le reazioni umane di cui sono debole in quanto padre, é sempre stato quello di incentivare la tua personalità fondamentale, adoperandomi al meglio possibile per smussarne le ottusità. Poiché apparterrai al tuo tempo e al tuo spazio che saranno i rimasugli dell'eredità che ti avremmo lasciato: frutto della nostra sapienza o del nostro arrogante egoismo.
Gli occhi di un giovane ragazzo vedono tanto, ma la sua vista si appanna man mano che scruta lontano; ed é in quei paraggi che s'aggira l'inganno. Io voglio per te ciò che non ho avuto, ma non ti permetterò mai di avere da me tutto ciò che vorrai. So per certo che le cose esistono per essere conquistate e la tua felicità, quella interiore, l'otterrai raggiungendo ciò che ti sai prefissato utilizzando le tue capacità.
Ed ecco perché ti lascio un ricordo indelebile del mio pensiero.
Quando verrà il giorno che scruterai il mio atteggiamento, vagliandone i difetti, sappi che ne troverai tanti. La domanda che ti dovrai porre, però, dovrà essere: ”Sono in grado di riuscire a fare qualcosa?”. Sarà allora che assumerai la tua coscienza di essere. Se poi sarà ancora il mio errore che starai cercando lo troverai solo qualora ti sentirai impedito, come individuo, nei confronti di qualcuno o di qualcosa.
Io sono, in tutta semplicità, il tuo più grande insegnante. Questo perché ho previsto le tue paure, evitando di inculcartele, ed ho immaginato le tue mete, mettendoti nelle condizioni di raggiungerle.
Ti ho dato la possibilità di poter scegliere e di saper distinguere e questo ti permetterà di fare le tue esperienze con un margine di errore più basso rispetto alla media, riferendomi alla media di un'educazione permissivistica, delle risposte date al posto tuo, degli stereotipi, del “Non lavorare in quel posto che ti sfruttano”, del “Lasciamogli fare quello che vuole: é solo un bambino”, che sono tutte medie della mediocrità.
Prima di avere figli avevo un punto di vista molto diverso da quello che ho adesso, questo perché avevo solo idee ma mancava la cosa fondamentale: il ruolo ed é questo che fa assumere gli atteggiamenti. Vivere la vita é un'arte. Fra tanti capolavori, qualche bozza, qualche incompiuta e qualche fiasco sono da considerarsi cose normali e proprio non saprei quanto “normale” potrei apparire agli occhi tuoi. Spero una quantità tollerabile.
Tu magari mi vedrai vecchio e con vecchie idee. Io, in verità, sono giovane e con idee giovani. Non farti ingannare dall'involucro: dentro di noi non esiste età. Applica grandezza nelle cose che farai, cura i dettagli e vivi come il professionista della tua vita. Un giorno sarai tu ad essere al posto mio. Ricorda: i genitori lasciano sempre due eredità: una genetica ed una esistenziale e la seconda viene sempre per prima. Ecco perché penso che genitori lo si é prima di partorire i figli. (Tony Carboni)
La testimonianza del figlio di Paolo Borsellino.. (pubblicata per gentile concessione dell’editore)
MANFREDI BORSELLINO. Il primo pomeriggio di quel 23 maggio studiavo a casa dei miei genitori, preparavo l’esame di diritto commerciale, ero esattamente allo “zenit” del mio percorso universitario. Mio padre era andato, da solo e a piedi, eludendo come solo lui sapeva fare i ragazzi della scorta, dal barbiere Paolo Biondo, nella via Zandonai, dove nel bel mezzo del “taglio” fu raggiunto dalla telefonata di un collega che gli comunicava dell’attentato a Giovanni Falcone lungo l’autostrada Palermo-Punta Raisi.
Ricordo bene che mio padre, ancora con tracce di schiuma da barba sul viso, avendo dimenticato le chiavi di casa bussò alla porta mentre io ero già pietrificato innanzi la televisione che in diretta trasmetteva le prime notizie sull’accaduto. Aprii la porta ad un uomo sconvolto, non ebbi il coraggio di chiedergli nulla né lui proferì parola.
Si cambiò e raccomandandomi di non allontanarmi da casa si precipitò, non ricordo se accompagnato da qualcuno o guidando lui stesso la macchina di servizio, nell’ospedale dove prima Giovanni Falcone, poi Francesca Morvillo, gli sarebbero spirati tra le braccia. Quel giorno per me e per tutta la mia famiglia segnò un momento di non ritorno. Era l’inizio della fine di nostro padre che poco a poco, giorno dopo giorno, fino a quel tragico 19 luglio, salvo rari momenti, non sarebbe stato più lo stesso, quell’uomo dissacrante e sempre pronto a non prendersi sul serio che tutti conoscevamo.
Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all’interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua.
Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni di attentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevo tutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattutto non riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscio era la vittima. Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamente successivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di diritto commerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privato dell’economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo “preparati” qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell’amico e collega Giovanni.
La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due ore di anticipo. In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d’altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore “Pippo” Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell’Università di Palermo e storico esponente dell’Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.
Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia “loffia” domenicale tradendo un certo desiderio di “fare strada” insieme, ma non ci riuscì. L’avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.
Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell’85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati “deportati” all’Asinara, o quella dell’anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese. Ma quella era un’estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all’apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.
Così quell’estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo “esposta” per la sua adiacenza all’autostrada per rendere possibile un’adeguata protezione di chi vi dimorava. Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l’ultimo bagno nel “suo” mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D’Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.
Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti. Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel “tenere comizio” come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all’immaginazione.
Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull’uscio della villa del professore Tricoli, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.
Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell’attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D’Amelio.
Non vidi mio padre, o meglio i suoi “resti”, perché quando giunsi in via D’Amelio fui riconosciuto dall’allora presidente della Corte d’Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna. Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all’interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell’esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell’ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un’ultima volta.
La mia vita, come d’altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza “se” e senza “ma” a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in “familiari superstiti di una vittima della mafia”, che noi vivessimo come figli o moglie di ….., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva “Paolino” sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.
Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza “farci largo” con il nostro cognome, divenuto “pesante” in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo “montati la testa”, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta.
Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ossia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento drammatico che mi sono trovato a vivere.
D’altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, una persona che in un modo o nell’altro avrebbe “sfruttato” questo rapporto di sangue, avrebbe “cavalcato” l’evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di …. o perché di cognome fa Borsellino. A tal proposito ho ben presente l’insegnamento di mio padre, per il quale nulla si doveva chiedere che non fosse già dovuto o che non si potesse ottenere con le sole proprie forze. Diceva mio padre che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dovere essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi non essere più liberi ma condizionati, sotto il ricatto, fino a quando non si restituisce il favore o la raccomandazione ricevuta.
Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.
Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere. ( La testimonianza del figlio del giudice – pubblicata per gentile concessione dell’editore – chiude il libro “Era d’estate”, curato dai giornalisti Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi- Pietro Vittorietti editore).
La suora che fa l'autostop.. (Barzelletta)
Una suora fa’ l’autostop e viene raccolta da un camionista.
Il camionista: “Come si chiama?”
La suora: “Suor Maria”
“Dove deve andare?” – gli dice il camionista.
E la suora: “Assisi”
E lui: “Io la posso portare però dobbiamo fare l’amore!”
E lei: “Non posso mi sono votata a Dio”
“Allora deve scendere” – gli risponde lui.
La suora pensa che è notte, che piove, che è sola è di malavoglia accetta ….dopo che si è concessa il camionista sente la suora che prega: “Dio perdonami per aver peccato tre volte!”
E il camionista: “Ma noi l’abbiamo fatto solo una volta.”
E la suora: “Si ma fino ad Assisi la strada è lunga!”
La moglie credente e il marito avaro.. (Barzelletta)
C'era un uomo che aveva lavorato tutta la vita, e aveva risparmiato tutti i suoi soldi, un mucchio di soldi.. e quando si trattava di spenderli era un vero "avaro". Poco prima di morire, disse alla moglie:
"Quando muoio, voglio che tu prenda tutti i miei soldi e li metta nella bara con me. Me li voglio portare con me nell'aldilà."
E così si fece promettere con tutto il cuore dalla moglie, che quando sarebbe morto lei avrebbe messo tutti i suoi soldi nella cassa con lui.
Beh, poi morì. Al funerale era steso nella bara con vicino la moglie, vestita di nero, seduta affianco alla sua migliore amica. Quando fu finita la cerimonia e si preparavano a chiudere la bara, la moglie disse: "Aspettate un momento!"
Aveva una piccola scatola di metallo, si avvicinò con la scatola e la mise nella cassa. Poi chiusero la bara e la portarono via.
L'amica che aveva assistito alla scena disse:
"Ma cara, non pensavo che fossi così tonta da mettere tutto quel denaro la dentro con tuo marito."
La mogie fedele rispose:
"Senti, io sono una persona credente, non posso tornare sulle mie parole. Gli ho promesso che avrei messo quei soldi nella bara con lui e così ho fatto."
"Vuoi dire che hai messo tutto quel denaro li dentro con lui?!?"
"Certo!" disse la moglie "ma erano talmente tanti che nella bara non ci stavano, così li ho presi tutti, li ho messi sul mio conto e gli ho fatto un assegno..."
Il toro da monta.. (Barzelletta)
Un contadino e la moglie devono comprare un toro. Arrivati all’allevamento, il proprietario mostra loro i suoi capi migliori.
“Questo toro monta anche tre volte al giorno”
E la moglie al marito:
“Lo senti? Tre volte al giorno! sai da quanto tempo tu non lo fai più???”
Secondo toro:
“Questo monta anche quattro volte al giorno!
e la moglie:
“lo senti??”
Terzo toro:
“Questo monta anche cinque volte al giorno”
E la moglie:
“Lo senti?”
Alchè il marito stufo chiede al fattore:
“sempre con la stessa vacca?”
“NO!” risponde l’allevatore.
E il marito alla moglie:
“Lo senti?!?!!”
Un aereo decolla da Fiumicino diretto a... (Barzelletta)
Un aereo decolla da Fiumicino diretto a Milano.
È carico di passeggeri.
Raggiunta la quota di volo, il comandante esordisce all'interfono: - Signore e signori, è il comandante che vi parla. Stiamo volando a seimila metri, il tempo a Milano è splendido, e il volo sarà tranquillo, senza vento e turbol... ODDIO..NOO!! - (... silenzio...)
Dopo qualche istante di nuovo il comandante: - Signore e signori, scusate per quanto successo poco fa, ma la hostess mi ha rovesciato il caffè bollente in grembo.
Dovreste vedere il davanti dei miei pantaloni!!- E un passeggero da in fondo al velivolo grida: - Ah, è niente, dovrebbe vedere il didietro dei miei!!! -
Mia moglie mi ha chiesto di uscire con un'altra donna... (Bellissima)
Dopo 21 anni di matrimonio, mia moglie mi prese da parte per dirmi qualcosa di importante. Voleva che passassi del tempo con un’altra donna, la portassi al ristorante e poi al cinema. Mia moglie mi disse: “Ti amo, ma so che anche quest’altra donna ti ama, e voglio che tu trascorra del tempo con lei”.
Quest’altra donna era mia madre. Viveva da sola da 19 anni, dopo la morte di mio padre e a causa del mio lavoro e dei miei tre figli, potevo farle visita solo occasionalmente.
Così quella sera stessa ho fatto quello che mia moglie mi aveva chiesto. Ho invitato mia madre al ristorante e poi al cinema.
“Cosa sta succedendo?”, mi chiese la mamma: “Sei sicuro che vada tutto bene?”
“Ho pensato che sarebbe stata una buona idea trascorrere del tempo con te”, ho risposto. “Solo io e te”.
Mia madre, al telefono, restò in silenzio un momento, poi finalmente disse: “Mi piacerebbe davvero tanto”.
Poi il venerdì seguente, dopo il lavoro, sono andato a prenderla a casa. Ero un po’ nervoso, era passato tanto tempo… Si era fatta i capelli e indossava lo stesso vestito del suo ultimo anniversario di matrimonio. Il suo sorriso, raggiante di felicità, la faceva sembrare un piccolo angelo.
“Ho detto alle mie amiche che uscivo con mio figlio stasera e sono rimaste tutte molto colpite”, ha detto entrando in macchina. “Non vedono l’ora che racconti loro della nostra serata!”
Così siamo andati in un ristorante, non troppo elegante, ma abbastanza intimo e confortevole. Mia madre mi ha preso il braccio come se fosse la First Lady. Ci siamo seduti e le ho dovuto leggere il menù, dal momento che i suoi occhi riuscivano a leggere solo i caratteri più grandi. Appena finito di leggere le portate, ho girato gli occhi e ho visto che lei mi guardava con un sorriso carico di nostalgia. “Quando eri piccolo, ero io che dovevo leggerti il menù”, mi ha detto con semplicità. “Allora, è tempo che tu ti riposi un po’ e mi lasci restituire il favore”, ho risposto.
Abbiamo cenato e abbiamo parlato, niente di straordinario, abbiamo solo parlato delle novità nelle nostre rispettive vite. Alla fine, abbiamo parlato così tanto che ci siamo dimenticati del film. Ma in realtà, non ci è dispiaciuto averlo perso. Quando l’ho riaccompagnata a casa, mi ha detto che voleva uscire di nuovo, ma solo se le promettevo che l’avrei lasciata invitare me la prossima volta. Ho accettato.
“Come è andato il tuo appuntamento?”, mi chiese mia moglie quando rientrai a casa. “È andato davvero bene. Ancora meglio di come avrei mai immaginato”.
Non sono però stato in grado di mantenere la mia promessa e farmi invitare al ristorante. Pochi giorni dopo, mia madre è morta a causa di un problema cardiaco. È successo così velocemente che nessuno ha potuto fare niente per lei.
Sono passate alcune settimane e poi ho ricevuto una busta con una copia di un conto di un ristorante, lo stesso ristorante dove avevo portato mia madre. Insieme alla ricevuta, c’era una piccola nota che diceva: “Ho pagato questo conto in anticipo. Non ero sicura se avrei potuto esserci, ma in ogni caso, ho già pagato per due, per te e per tua moglie. Non sai quanto questa serata abbia significato per me. Ti amo, figlio mio”.
Quel giorno ho capito l’importanza di dire “ti amo”, e l’importanza di trascorrere del tempo con la propria famiglia e le persone che ci sono care. Niente, in verità, è più importante di quest’amore. (Anonimo Web)
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